Cosa significa prendersi cura di sé?
Non mi viene tanto da pensare a controlli medici, analisi, alimentazione corretta, regolari ritmi di veglia sonno, che do per scontati. Ma ho in mente un rapporto “intimo” con il proprio corpo fatto di attenzione, ascolto, conoscenza e accettazione.

Se capita di ospitare un amico, ci preoccupiamo che abbia un soggiorno gradevole: che il letto sia comodo, la stanza o l’angolo a lui riservato accogliente, che abbia un posto dove mettere le sue cose, una poltrona su cui sedersi per leggere con tranquillità, gli chiediamo se ha qualche esigenza particolare per il cibo o gli orari. Insomma, ci diamo da fare perché goda una situazione confortevole, di benessere e comodità, in modo che sia contento del tempo che trascorre con noi e senta il nostro affetto.

Ecco, credo che bisognerebbe fare lo stesso con il nostro corpo.
Comportarsi con lui come ci si comporterebbe con un amico, a cui si è legati da una lunga e affettuosa amicizia, con cui si sono condivise tante, diverse esperienze.
Il segno distintivo dell’affetto è dato dall’essere attenti: ascoltare con attenzione quello che l’amico esprime, osservarlo per capire meglio ciò che sta comunicando, conoscerlo nelle sue caratteristiche, accettarlo nei suoi limiti.
Sono le maniere giuste anche per il corpo, e non solo.

Per cui prendersi cura di sé, significa mettere in atto tante piccole azioni come: riuscire a comprendere, nel corso del tempo, ciò che ci è congeniale; riconoscere i propri ritmi; fare cose che ci procurino piacere e benessere; accettare i limiti del corpo; non sfidarlo, ma costruire pezzo a pezzo; non abusare delle energie di cui dispone, ma sapersi fermare e riposare; accettare che il corpo è un organismo in continuo cambiamento, che parla attraverso dolori, impressioni, pertubazioni, a volte difficili da accogliere, che noi stessi (aiutati dalla maggioranza dei medici), con la voglia di mettere  a tacere le sensazioni spiacevoli, non ci diamo il tempo di interpretare.

Non sto parlando né di ipocondriaca né attenzione a qualsiasi minimo segnale corporeo, né della necessità di attribuire reconditi e inconsci significati a un banale mal di pancia. Ma del fare mente locale, per accorgersi che il mal di pancia ci viene ogni volta che mangiamo le zucchine; il che forse vuol dire che non ci sono congeniali, anche se fin da piccoli ci hanno detto che le zucchine fanno bene all’intestino.
Mantenere vivo il dialogo con l’amico corpo, valorizzando anche tutto quello che si è conosciuto,sperimentato, sentito e appreso attraverso e con lui; fare ricorso al piccolo patrimonio di buone conoscenze che si sono accumulate per interagirci; divenendo attivi, osando essere anche un po’più autonomi nel fidarci della nostra capacità di “capirlo”, grazie allo scambio di informazioni stabilito tra lui e noi giorno per giorno.
Non ci sono rimedi straordinari, se non quello di imparare ad accettare questo rapporto con l’altro, che sono sempre io; anche se tutti siamo tentati dalla fantasia di un corpo sotto forma di silenziosa  ed efficiente macchina per il fare, incorruttibile e piena di buona energia.
Ma è una illusione e come tale del tutto irreale.

Stefania Margiotta

Logopedista, attenta ricercatrice del rapporto che la voce ha con il corpo, durante tutto il periodo che ha frequentato le lezioni  ci ha offerto le sue riflessioni circa ” il prendersi cura di sè” e al concetto che abbiamo di ” corpo”.

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